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Il germoglio dell’ispirazione

"La Penna Blu" di Fiamma Colette Invernizzi, l'editoriale mensile della caporedattrice di Isplora.
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Il germoglio dell’ispirazione
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20 febbraio 2025

Care e cari utenti, 

vorrei, prima di tutto, sorridere all’idea di sottrarvi al tran-tran quotidiano per condurvi a qualche migliaio di distanza dal vostro pc, in un mondo lontano nel tempo e nello spazio: il Borneo

(Se invece non pensate di avere abbastanza tempo, scorrete all’ultimo capoverso,
la sorpresa sta lì!
) ;)

Per iniziare questo viaggio, però, prendo in prestito le parole di un grande naturalista e botanico italiano, Odoardo Beccari, nato nel 1843 e divenuto famoso per le sue scoperte botaniche e i suoi studi in tutto il sud-est asiatico: “Il 4 aprile 1865 mi imbarcai a Southampton, sul Delhi, uno dei grandi vapori della compagnia peninsulare ed orientale”, scriveva il giovane nei suoi taccuini di viaggio, “e giunsi intorno al 16 ad Alessandria d’Egitto”. 

Da qui il via al viaggio che lo renderà celebre in tutto il mondo: “In Borneo, nella più grande fra le isole della Malesia, esiste un Paese che non ha ferrovie e nemmeno strade, ed è invece in massima parte coperto di interminabili e dense foreste, nelle quali vagano gli Orang-utan. Quivi gli abitanti conducono una vita primitiva, e in parte sono tutt’ora selvaggi dediti alla caccia dei loro simili, di cui conservano le teste affumicate, sospese nell’interno delle abitazioni”. 

Queste parole di Odoardo Beccari, da lui scelte come apertura del libro Nelle foreste di Borneo, non possono che tramutarsi, nella mia mente, nella trama suggestiva di una cartografia complessa, composta di tradizioni, stupore e contraddizioni. Se il naturalista, a caccia di fiori di Rafflesia e Amorphophallus Titanum, guarda alla natura con gli occhi della sorpresa – sue sono le parole “… a momenti, in certe ore della giornata, regna nella foresta una calma quasi paurosa; la natura sembra come assopita nel suo stesso regno” – mi chiedo: come un architetto avrebbe vissuto quei momenti? Avrebbe riportato su carta i dettagli costruttivi di qualche abitazione locale? Ne avrebbe studiato l’orientamento o la stratigrafia? Avrebbe forse delineato un abaco degli arredi e delle suppellettili all’interno delle case (teste affumicate escluse)?

Ironici quesiti a parte, una risposta c’è: l’architetto avrebbe vissuto l’esperienza con lo stesso stupore esplorativo di Odoardo Beccari. 

L’esplorazione rimane il motore di qualsiasi processo architettonico, per il professionista che si avventura in un mondo fatto di geometrie, paesaggi e contesti sociali, cercando di cogliere ogni sfumatura di significato che emerge dall’ambiente circostante. Esplorare significa innanzitutto osservare e ascoltare: l’ambiente urbano, la sua storia, le tradizioni locali, ma anche il comportamento delle persone, la loro interazione con lo spazio. Non si tratta solo di conoscere un luogo, ma di coglierne l’essenza, le necessità, le sfide e le opportunità. 

Qui mi rivolgo a voi: in un mondo come quello odierno, “esplorare” è sinonimo di rincorrere l’ultima novità tecnologica o rallentare per soffermarsi sul dettaglio?

Per me resta sinonimo di meraviglia continua, data dalla possibilità di passeggiare in ogni momento dentro ad una biblioteca a cielo aperto, leggendo i materiali e le loro provenienze, le tessiture murarie e le loro caratteristiche costruttive, i capichiave e le loro tensioni strutturali.    

Di certo c’è che, con il tempo, l’esplorazione si trasforma in un bagaglio di preziosi insegnamenti: novità, scoperte, errori e successi diventano i tasselli di un mosaico di grande crescita personale e professionale. 

L'architettura non è un atto istantaneo, ma un processo che cresce attraverso la riflessione, l'approfondimento e l’interazione con la realtà, in una pratica continua e duratura nel tempo, mi diceva qualche tempo fa Barbara Ballabio di BBA Studio, in un’intervista (di cui non posso fare altri spoiler!). Imparare sul campo significa acquisire conoscenze, ma anche affinare le proprie capacità intuitive, comprendendo le dinamiche che legano gli elementi architettonici tra loro e con l’ambiente circostante. Un apprendimento che non si limita a quello tecnico e teorico bensì include la capacità di comprendere le necessità umane, i comportamenti sociali e le abitudini quotidiane di chi andrà a popolare gli edifici oggetto di studio. 

Ripensando alle parole del filosofo e giornalista e Aldo Colonetti, in Guardare Oltre, “L’architettura ha bisogno di tempo. Un suo tempo. E di un suo spazio – un grande spazio – per essere raccontata, mostrata, condivisa. L’architettura non può essere rinchiusa negli smartphone e condannata ad un tempo così breve. L’architettura ha una sua dimensione ben precisa”. 

Imparare, dunque, con la pazienza e la costanza di non smettere mai, e la fame di andare alla ricerca di qualcosa di sempre nuovo. 

Ma perché questo viaggio tra esplorazione e insegnamento? 

Perché in questo processo fertile e continuo nasce il germoglio dell’ispirazione, luogo in cui passione, conoscenza e creatività ritrovano il loro sentiero comune. 

L’ispirazione è questione di visione; è un buon progetto architettonico che va oltre la mera realizzazione tecnica; è l’oggetto architettonico che racconta una storia, un simbolo di innovazione e di pensiero critico. È uno spazio che si genera tra i pensieri, scarabocchiando degli appunti su un tovagliolo, camminando in un luogo deserto o spaventosamente affollato. 

Per me ci vogliono lunghe passeggiate e grandi silenzi. Voi come fate spazio all’ispirazione? 

Care e cari utenti, noi vorremmo essere tutto questo insieme: delle pagine in più, in un taccuino di esperienze, dei temporanei compagni di viaggio e un luogo dove assaporare il continuo movimento della ricerca progettuale e architettonica. 

Esplora. Impara. Ispira. 

Isplora. 

F.

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